Ripartono i deal nel private equity italiano
- Redazione
- 2 dic
- Tempo di lettura: 4 min
Nel terzo trimestre del 2025 il mercato del private equity in Italia ha vissuto un vero e proprio picco: il numero di operazioni concluse in questo arco di tempo ha raggiunto il livello più alto degli ultimi cinque anni.

Questo aumento nel conteggio dei deal suggerisce che c’è un rinnovato dinamismo — anche se, al contempo, la dimensione economica media delle operazioni è scesa rispetto ai trimestri precedenti.
Nello specifico, secondo il “Q3 2025 Italy Market Snapshot” di PitchBook, la crescita del numero di transazioni non è stata accompagnata da un aumento proporzionale del valore totale investito. Questo indica che molte delle operazioni concluse sono di taglio più “modesto”: gli investitori sembrano privilegiare deal di dimensioni più contenute, probabilmente come strategia cautelativa, evitando in questo momento operazioni di buyout su larga scala.
Sul fronte delle “exit” — cioè delle dismissioni da parte dei fondi di private equity — il terzo trimestre ha mostrato segnali di ripresa: anche qui si è assistito a una ripartenza dell’attività di uscita, in linea con una tendenza più ampia osservata nel mercato europeo.
Nel complesso, il quadro che emerge è quello di un mercato in parte rilancio: da un lato un numero crescente di operazioni, dall’altro una preferenza chiara per transazioni più conservative, di valore inferiore. In un contesto incerto come quello attuale — con variabili macroeconomiche e valutazioni sensibili — molti operatori sembrano adottare un approccio “step by step”: puntare su deal più piccoli e gestibili, piuttosto che scommettere su mega-acquisizioni.
Settori che guidano gli investimenti PE/VC in Italia
Secondo le ultime rilevazioni, i settori con maggiore attività in termini di deal (numero di operazioni) e – a volte – di ammontare investito mostrano una certa specializzazione, con preferenze chiare per alcuni comparti.
Il comparto ICT (tecnologie dell’informazione, comunicazioni, servizi digitali, software, ecc.) continua a essere quello con il maggior numero di operazioni: nel primo semestre 2025 rappresenta circa il 35% dei deal totali.
Seguono, per numero di operazioni, settore medicale / sanitario (medico, medicale, health care) e beni e servizi industriali (aziende manifatturiere, industria di trasformazione, servizi industriali).
In termini di ammontare di capitale investito (non solo numero di operazioni), un ruolo rilevante viene giocato da energia e ambiente (comparto “energia/ambiente/green”) — che nel primo semestre del 2025 raccoglie circa 31% dell’investimento totale.
Anche i beni e servizi industriali e l’ICT confermano una quota importante di capitale investito: secondo i dati, dopo energia & ambiente, i servizi industriali rappresentano circa il 18% degli investimenti per ammontare, e l’ICT circa il 16%.
Dal quadro aggregato emerge che la combinazione di fattori macro-economici, innovazione tecnologica e transizione energetica influenza fortemente la direzione degli investimenti di PE/VC.
Nel contesto di incertezza economica generale, gli investitori sembrano privilegiare small e mid-market, cioè imprese di dimensioni contenute o medie (spesso con fatturato inferiore ai 50 milioni di euro). Questo spunto conferma che il picco dei deal osservato non coincide con un’esplosione di “mega-buyout”, ma piuttosto con una maggiore frammentazione e “diffusione” degli investimenti.
Il forte interesse per l’ICT e le tecnologie digitali riflette la crescente domanda di digitalizzazione nelle imprese italiane, unita all’appeal delle start-up e delle imprese tecnologiche per operatori di VC e growth equity.
L’investimento in energia, ambiente e green tech appare legato non solo all’interesse per la transizione ecologica, ma anche alla percezione di questi settori come “asset resilienti”: infrastrutture energetiche, servizi ambientali, energie rinnovabili possono offrire rendimenti stabili in un contesto economico turbolento.
L’industria/manifatturiero rimane un pilastro — con investimenti in aziende reali, non necessariamente “hype tech” — suggerendo che una parte significativa del flusso di PE resta legata al “core industriale” del paese piuttosto che solo a settori innovativi.
Nel primo semestre del 2025 gli investimenti di PE/VC in Italia sono aumentati del 17% rispetto allo stesso periodo 2024, arrivando a 5,2 mld di euro, su 370 operazioni (+24%). Anche se la raccolta di capitale (fundraising) ha subito una contrazione — circa 1,7 mld di euro, -40% — la resilienza del mercato è evidente: gli investitori continuano a distribuire capitale, concentrandosi su molteplici operazioni di dimensioni medie o piccole piuttosto che puntare tutto su pochi grandi deal. L’attività infrastrutturale registra importi significativi: una parte consistente della dotazione investita va verso infrastrutture, segno che il mercato guarda anche a asset “stabili” e “tangibili”, non solo a tecnologie o startup.
Dal lato degli operatori, cresce l’adozione del private credit come strumento complementare o alternativo nelle operazioni, accanto al tradizionale equity — un segnale di adattamento del mercato a condizioni più complesse (rischio, costo del capitale, incertezza macro).
Questo nuovo equilibrio settoriale modifica anche il modo in cui il capitale privato interagisce con il tessuto economico italiano. La crescita di operazioni su imprese di dimensioni piccole e medie dimostra come proprio le PMI — in particolare quelle attive nell’ICT, nell’industria evoluta e nell’universo della transizione energetica — siano oggi al centro dell’interesse degli investitori professionali. La frammentazione della dimensione dei deal, infatti, apre una porta che negli anni passati era rimasta spesso socchiusa: aziende meno strutturate, ma con una buona presenza sul mercato o una tecnologia in sviluppo, possono avere più opportunità di accedere a risorse finanziarie cruciali per ottenere quello scatto che porta alla crescita dimensionale o internazionale.
Parallelamente, l’attenzione verso settori considerati più “resilienti” ai cicli economici conferma il ruolo difensivo di comparti come l’energia, le infrastrutture e i servizi industriali. Si tratta di ambiti nei quali i fondi individuano un orizzonte di rendimento più stabile, meno soggetto a bruschi cambi di scenario, e quindi adatto a difendere il valore degli investimenti in una fase di volatilità globale. La ricerca di equilibrio tra crescita e protezione del capitale si traduce così in una doppia pista: innovazione dove possibile, solidità dove necessario. Al tempo stesso, il focus crescente sul digitale racconta una trasformazione culturale: l’Italia sta sperimentando, con qualche ritardo ma con passo sempre più deciso, la costruzione di un ecosistema in cui startup e imprese tecnologiche trovano accesso non solo a fondi di venture capital, ma anche a investitori più tradizionali interessati alla scalabilità dei modelli digitali. È un segnale che indica l’avvicinarsi a standard europei più avanzati nella finanziarizzazione dell’innovazione.
Resta tuttavia un’ombra sullo sfondo: la contrazione del fundraising. La minore raccolta a disposizione dei fondi potrebbe imporre criteri più selettivi nei prossimi trimestri e, se proseguisse, rischierebbe di rallentare quel circolo virtuoso che oggi si sta mettendo in moto. In altre parole, la ripresa del deal-making non può dirsi del tutto consolidata finché i flussi di capitale in ingresso non torneranno a crescere in modo più robusto.





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